Marketing permissivo: privacy e etica

Permission marketing è in primo luogo “consenso”: chiedere all’utente di fare qualcosa in cambio di qualcos’altro, una “caramella” come la chiamo io a volte. Spesso mi pongo la domanda, da “questa” parte della barricata, da quella di advertiser, se a volte viene superata la sottile linea della privacy.

Ovvero: essere permissivi, in realtà vuol dire chiedere informazioni a utenti; ma anche in un certo modo guidarli dove vogliamo noi tramite landing page e campagne di ogni tipo. Esiste una linea di privacy e soprattutto un modo etico di gestire queste situazioni.

Esempi pratici di permission marketing

Permission marketing è quell’insieme di strumenti di promozione digitale che convoglia gli utenti a una pagina di atterraggio definita, la quale chiederà agli utenti di fare una determinata azione: una conversione, in termini di iscrizione a una newsletter, una compilazione di una form, un acquisto nel caso di un sito e commerce, e cosi via..

Campagne Adwords e SEO

E’ uno dei casi più elementari di marketing permissivo: l’utente digita una ricerca sul motore di ricerca e questo gli risponde mostrandogli i risultati maggiormente pertinenti con quanto sta ricercando. In questo caso agire in modo etico è quello di essere assolutamente trasparenti con gli utenti: se digita una querystring, gli annunci e le pagine di atterraggio dovranno essere sempre pertinenti. Non parlo di un motivo “tecnico” (Google, Bing, etc si accorgono se manca pertinenza o se le regole vengono violate) ma bensì pratico: l’utente farà clic e, non trovando quello che cerca, semplicemente, rimbalzerà.

Campagne display

Anche per le campagne display il tema è analogo: l’utente non sta cercando qualcosa di specifico ma, per pertinenza con il tema del sito internet, si vede pubblicati dei banner pubblicitari. Per questo secondo caso valgono le stesse considerazioni di cui sopra.

Il remarketing

Per quanto riguarda le campagne remarketing, queste sono lo strumento più potente ma anche quello più controverso: in realtà sono un bravo pubblicitario perché sto facendo vedere all’utente proprio quello che gli interessa. Ma il fatto che io utente abbia visto un sito internet è sufficiente per dire che sia di mio interesse? Il fatto che l’advertiser mi “segua” (a volte perseguita) è bene o male? Anche da questo punto di vista serve un approccio etico alla programmazione delle campagne. Per non subire l’effetto contrario rispetto a quanto programmato.

Campagne DEM

Per le campagne di marketing diretto via mail, è necessario prestare molta attenzione ad alcuni aspetti, relativi soprattutto al comunicare all’utente da dove sono stati presi i suoi dati e all’utilizzo che ne viene fatto.

Soluzione: guardare le cose dal lato utente

Siamo bersagliati di comunicazione a 360 gradi, tutti i giorni e su ogni strumento / media. Dal telefono alle mail, dai siti internet ai social. Nella pianificazione della campagna di marketing online è fondamentale guardare il punto di vista dell’utente che abbiamo come obiettivo: non esiste infatti una regola precisa, ma solo di buon senso e di rispetto nei confronti dell’utente. Sempre al netto del rispetto delle vigenti normative in termini di privacy, con pubblicazione di disclaimer e privacy policy in tutte le pagine del sito internet (con tanto di dettaglio di utilizzo dei cookie).
marketing permissivo privacy ed etica
Il mio personale punto di vista è che gli strumenti digitali offrono una grande opportunità in termini sia di personalizzazione (anche estrema) dei messaggi di comunicazione che di rispetto del consumatore / utente. Uno spot televisivo, ad esempio, si occupa di diffondere in modo molto rapido un messaggio di comunicazione a una grande mole di audience; ma non è personalizzato e lavora sulla legge dei grandi numeri: per quanto il prodotto o servizio pubblicizzato sia per la massa, c’è una grande dispersione di energie. Le tecniche di marketing digitale, di converso, offrono l’opportunità unica di essere oltre che efficaci anche efficienti: raggiungono audiences specifiche con un costo per contatto non necessariamente più basso della comunicazione tradizionale, ma sicuramente misurabile anche in termini di ROI.


E’ vero che siamo “osservati”, che Google / Facebook & co conoscono sempre più informazioni su di noi. E’ vero anche che, se queste informazioni vengono usate in modo etico, diventano loro stesse veicolo per darci quello che vogliamo. Il fatto che ci sia un “grande fratello”, un grande occhio che tutto sa di noi, diventa probabilmente il giusto prezzo da pagare. L’utente compra se stesso.

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